Quando ho iniziato a lavorare al documentario “ZEROPER – Rimettersi in Gioco”, mai avrei immaginato l’impatto che un semplice gioco d’infanzia avrebbe potuto avere su una tematica così seria come il gioco d’azzardo. Crescendo a Palermo, ricordo bene il gioco dello “Zeroper”, un passatempo innocente tra bambini. Ma qualcosa mi ha spinto a vedere oltre. Cosa succede quando un gioco si trasforma in una trappola? È da qui che sono partito per raccontare la storia di chi ha combattuto contro la ludopatia, il gioco d’azzardo patologico.

La decisione di realizzare un documentario su questo tema non è stata casuale. Mi affascina il potere delle storie, il modo in cui riescono a farci vivere esperienze che altrimenti non potremmo nemmeno immaginare. Quando leggi statistiche sul gioco d’azzardo, i numeri sono spaventosi, sì, ma spesso li dimentichi in fretta. Le storie, invece, restano. È per questo che ho scelto di raccontare la ludopatia attraverso le voci di chi l’ha vissuta sulla propria pelle, di chi ha affrontato il buio e ha cercato una via d’uscita.

Raccontare per comprendere

Mentre lavoravo a “ZEROPER – Rimettersi in Gioco”, mi sono reso conto di quanto sia importante umanizzare un problema come il gioco d’azzardo. Parlare con Rolando De Luca, psicologo e psicoterapeuta, che ha deciso di condividere la sua esperienza di “riabilitazione” dei giocatori compulsivi, mi ha fatto capire che dietro ogni statistica c’è una vita reale, una storia che merita di essere ascoltata. Ho voluto raccontare queste storie per far emergere non solo la gravità del problema, ma anche la speranza che ne può derivare. Mostrare che uscire dalla dipendenza è possibile.

In un mondo in cui siamo continuamente bombardati da informazioni, il documentario offre un modo diverso di comprendere la realtà. Raccontare la storia di chi ha combattuto contro il gioco d’azzardo non è solo un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica, ma anche per dare voce a chi, spesso, non ha la forza di parlare. È stato un viaggio intenso, fatto di interviste, sopralluoghi e riprese, ma alla fine di tutto ho capito che questo progetto non era solo una mia necessità artistica, era un vero e proprio dovere sociale.

La forza della narrazione visiva

Perché scegliere un documentario? Perché credo che le immagini abbiano un potere unico. Possono catturare l’essenza di un’esperienza, trasportare lo spettatore dentro un mondo che, altrimenti, rimarrebbe lontano. In “ZEROPER – Rimettersi in gioco”, le storie di ex giocatori d’azzardo non sono solo raccontate, sono vissute attraverso lo schermo. Le loro emozioni, le loro paure, i momenti di disperazione e quelli di rinascita, tutto diventa reale, tangibile.

Eppure, ZEROPER non si limita a raccontare il dolore. Il mio obiettivo era anche quello di lanciare un messaggio di speranza. Sì, il gioco d’azzardo è una piaga sociale, ma c’è una via d’uscita. Il lavoro di Rolando e dell’associazione A.GIT.A a Campoformido ne è la prova. E raccontare queste storie significa offrire un faro di luce a chi ancora si trova nel buio.

Guardare oltre il gioco

Realizzare “ZEROPER – Rimettersi in Gioco” è stato anche un atto di resilienza. Con poche risorse e senza una produzione alle spalle, siamo riusciti a mettere insieme un progetto che ha coinvolto persone appassionate e disposte a mettersi in gioco, scusate il gioco di parole. Ma è stato proprio questo spirito di squadra, questa determinazione comune, che ci ha permesso di arrivare fino in fondo.

Il Documentario è stato premiato come miglior Film al Festival Internazionale del Cinema Patologico di Roma ed è stato selezionato come film Fuori Concorso, al Festival del Cinema Europeo di Lecce del 2014.

Credo fermamente che ogni documentario abbia il potere di cambiare le cose. Nel nostro caso, volevamo dare visibilità a un problema di cui si parla ancora troppo poco e offrire soluzioni concrete. Ho imparato che la forza di un film non risiede solo nella sua qualità tecnica, ma nella capacità di smuovere le coscienze, di far riflettere e, in qualche modo, di contribuire a un cambiamento.